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Fukushima, 4 anni dopo

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Sono già passati 4 anni da quel terribile 11 marzo 2011, giorno in cui terremoto e tsunami hanno sconvolto il Giappone. E sono già passati 4 anni, quindi, dalla catastrofe nucleare che ne conseguì. A Fukushima, infatti, la furia dell’ambiente e l’incapacità degli umani di gestire situazioni più grandi di loro portò alla fusione del nocciolo di tre reattori della centrale nucleare omonima. Risultato? La radioattività rilasciata ha portato l’incidente ad essere classificato al massimo di gravità per quelli nucleari (livello 7, raggiunto prima solo da Chernobyl), con un’area di 600 chilometri attorno alla centrale contaminata e il mare radioattivo fino a cinquanta volte i limiti di sicurezza.

Oggi, cosa è cambiato? Ben poco: su 150 mila persone costrette ad abbandonare le loro case, 120 mila non sono ancora potute rientrare. Ci sono 54 mila depositi di materiali radioattivi in giro per la prefettura di Fukushima (le stime ufficiali parlano anche di 28 milioni di metri cubi di rifiuti nucleari), e la risoluzione del problema è a dir poco lontana, se mai ce n’è una.

A tracciare un quadro tanto preciso quanto inquietante della situazione è Greenpeace, che riassume in dieci punti l’allucinante situazione giapponese. E che, fra le altre cose, sottolinea come nel Paese del Sol levante, oltre alla radioattività che fuoriesce continuamente in mare da ciò che rimane della centrale, anche le montagne coperte di foreste e i fiumi rilasciano continuamente radioattività che raggiunge zone che erano ancora decontaminate.

Io mi limito solo a ricordare le vittime di quell’enorme catastrofe sia umana che ambientale. E a ribadire un concetto: con il nucleare non si scherza, mai. Perché basta un singolo errore, un singolo evento naturale avverso e il danno è fatto, per sempre. Dovremmo tenerlo presente anche noi, qui, visto che l’Europa occidentale è la zona del mondo in cui c’è la maggiore concentrazione di reattori nucleari. E invece? C’è chi ancora si ostina a propagandare la fonte di elettricità più pericolosa, insicura e costosa come se fosse davvero una soluzione pulita e sostenibile ai nostri problemi energetici.

E il bello, è che lo fa senza provare rimorso, né vergogna.

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