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Fukushima, l’incubo nucleare continua

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Mentre a Fukushima i problemi sono ben lungi dall’essere risolti, una nuova ricerca avverte: “Potrà esserci una nuova Chernobyl entro i prossimi 27 anni”.

Il decommissioning di ciò che rimane della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, distrutta dal terremoto-tsunami dell’11 marzo 2011, potrebbe richiedere altri 40 anni, per essere completato. La sua spesa totale? Incluse le compensazioni per le migliaia di persone a suo tempo costrette a lasciare le proprie case, più di 76 miliardi di euro. Cifre da capogiro che, aggiungendosi a quelle già spese finora (oltre 15 miliardi di euro – anche per i circa seimila operatori coinvolti), non permettono nessun ottimismo.

Il principale problema, però, non sono i soldi. Sono gli effetti a lungo termine su salute e ambiente del fallout radioattivo. E l’acqua contaminata che, da più di quattro anni, finisce in quantità più o meno importanti nell’Oceano Pacifico. Sono circa 400 le tonnellate di acqua di falda che, ogni giorno, dalle colline in prossimità della centrale scorrono fino ai tre reattori colpiti. Lì, si mescolano alle acque di raffreddamento, scongiurando un’ulteriore catastrofe nucleare planetaria. La maggior parte di quest’acqua, assicura la Tepco, azienda che gestisce la centrale, è pompata in apposite cisterne. Ma buona parte finisce anche in altre parti del sito, e quindi in mare.

Che fine fanno queste enormi taniche piene di acqua radioattiva? Vengono semplicemente depositate nei pressi della centrale. Per ora sono un migliaio, per un totale di acqua contaminata raccolta di circa 500mila tonnellate. Ma siamo solo all’inizio di una raccolta da record. Per farsi un’idea, si può paragonare questa quantità a quella di acqua radioattiva prodotta durante il terzo incidente nucleare più grave di sempre: quello di Three Mile Island, negli Usa. Che, nel 1979, generò “solo” a 9mila tonnellate di acqua tossica.

Ciononostante, il Giappone ha deciso di tornare a produrre energia da fonte nucleare. Ma la situazione nipponica rappresenta solo una piccola porzione di quello che turba gli animi degli anti-nuclearisti di tutto il mondo (e non solo i loro). Il grosso delle preoccupazioni sta nel gran numero di reattori presenti o in costruzione, direttamente collegato alla probabilità che avvengano altri incidenti.

A dicembre 2011, al mondo, si contavano 435 reattori nucleari in funzione, per una potenza complessiva di 368,190 GW. A questi, si aggiungono i 63 in costruzione. Enormi costi, ritardi imbarazzanti, preoccupazioni sulla sicurezza: i nuclearisti globali vanno avanti imperterriti, rischiando anche per noi, senza mai chiedersi si il gioco valga o meno la candela.

Ma c’è anche chi si è chiesto se o quando un altro incidente come quello di Fukushima o di Chernobyl possa ancora avvenire.

A dare una risposta a questo pesante quesito è una ricerca in cui è stata compilata la più precisa e completa lista di incidenti nucleari avvenuti finora: un lavoro mai eseguito prima. Ciò che di più importante hanno fatto i suoi autori – Spencer Wheatley e Didier Sornette dell’ETH di Zurigo e Benjamin Sovacool dell’Università di Aarhus, in Danimarca – è però avere utilizzato questa lista per calcolare la probabilità di altri incidenti in futuro.

La loro conclusione è a dir poco preoccupante: le probabilità che un grande disastro nucleare si verifichi in qualche parte del mondo prima del 2050 sono 50:50. Più precisamente, “c’è una probabilità del 50 per cento che un evento delle dimensioni di Chernobyl (o più grave) si verifichi nei prossimi 27 anni”, hanno affermato i ricercatori.

Se è facile inquietarsi, soprattutto qui in Europa occidentale, dove c’è la più alta concentrazione di reattori di tutto il pianeta, è invece difficile provare stupore. Con un numero di reattori già molto elevato ed in costante aumento, è sempre più probabile che un incidente possa avvenire. La statistica, come la matematica, non è un’opinione. Il decidere se ricorrere all’atomo solo per produrre elettricità, invece, a volte lo è.

Diciamo no al nucleare! Sempre, comunque, dovunque. Il fatto che in Italia non funzionino le centrali, non significa che siamo immuni dai rischi che si corrono nel resto del mondo.

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